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miércoles, marzo 31, 2004 :::
 
Fuente: Canarias Ahora
Fecha:31-3-04
Autor: EFE


NUEVAS ENFERMEDADES PONEN EN PELIGRO SU SUPERVIVENCIA

Alertan sobre el descenso en el número de palmeras canarias

El botánico paisajista valenciano Bernabé Moya, alertó este miércoles sobre el "descenso en el número de palmeras canarias (phoenix canariensis), su escasa regeneración en el medio natural, y la introducción de nuevas enfermedades, que ponen en grave peligro su supervivencia".


Santa Lucía de Tirajana

El experto hizo estas declaraciones en el marco de las IV Jornadas de la Palmera Canaria, que se iniciaron este miércoles en la Casa de la Cultura de Vecindario, y se prolongarán hasta el sábado, con la presencia de otros reconocidos biólogos europeos, para analizar y poner solución a la aparición de nuevas plagas y enfermedades.

En Canarias, la principal enfermedad que ataca a la palmera autóctona es la dioclandra frumendus, un escarabajo que invade la palmera que se ha ido propagando por la isla, aunque en zonas como Vecindario ya ha sido controlado.

Moya animó a las instituciones públicas competentes para que ofrezcan medidas urgentes, contundentes e inmediatas, que deben ir acompañadas de una sensibilización social, con medidas entre las que citó la posibilidad de que cada pareja de isleños plante una palmera.

Moya, en su ponencia sobre Palmeras Economía y Sociedad, como director del departamento para la protección y Conservación de los Arboles Monumentales de Valencia, matizó que en otras comunidades como la valenciana, ya se prohíbe la entrada de palmeras de las que se tiene constancia del riesgo de propagar enfermedades.

Gran Canaria posee unas 57.000 palmeras canarias de los millares que existían, número "muy bajo comparado con Elche, una sola ciudad que tiene 200.000 mil palmeras", por lo que argumentó que la regeneración de la palmera canaria es urgente.

La introducción de palmeras adultas datileras desde el norte de África y otras exóticas de Indochina, Sudamérica o Madagascar, lleva acompañada la introducción de doce especies de enfermedades y plagas distintas, que ponen en peligro los palmerales autóctonos, enfatizó.

Por su parte, el presidente de la asociación francesa Fous de Palmiers, Gerard Dorint, que intervendrá este jueves en el curso de gestión de palmeras ornamentales, manifestó que la palmera canaria "representa un patrimonio ecológico único de un valor turístico y económico inestimable".

El experto francés añadió que la phoenix canariensis es conocida en Europa como la "princesa de las palmeras".

Dorint, quien disertará sobre el cultivo y mantenimiento de las palmeras en Europa central, advirtió de la necesidad "de detener inmediatamente toda la importación de palmeras del exterior, ya que esto propaga enfermedades extremadamente peligrosas, pudiendo provocar la muerte masiva de palmeras".

Las asociaciones y las estructura de protección de estas plantas, aseguró el experto, "deben desarrollarse rápidamente en Canarias, como sucede en el caso de los países mediterráneos, en vistas a una activa cooperación internacional".

Además de Gerard Dorint, en la jornada matinal del jueves también intervendrá Claudio Littardi, director del Centro de Estudios e Investigación de la Palmera de San Remo, Italia; el único centro de estas características.

Las ponencias técnicas de la tarde de hoy se iniciaron con la intervención de Carlos Morice, biólogo de la Universidad de La Laguna, quien habló sobre el palmetum de Santa Cruz de Tenerife.

Le siguió la disertación de Diana Guedes, licenciada en Ciencias Ambientales, quien habló del inventario y diagnóstico inicial del palmeral urbano de Santa Lucía de Tirajana.

La jornada la cerrará la jefa del laboratorio de control biológico de la Estación Phoenix, de Elche, Susana Gómez, quien hablará de los controles sobre las principales plagas de palmeras.

La principal enfermedad es la 'dioclandra frumendus', un escarabajo que invade la palmera que se ha ido propagando por la isla

El experto Bernabé Moya animó a las instituciones públicas competentes para que ofrezcan medidas urgentes, contundentes e inmediatas








::: Noticia generada a las 8:55 PM


miércoles, marzo 03, 2004 :::
 
Fuente: El manifesto
Fecha: 3-3-04
Autora: Elena del Drago


Maestri del paesaggio contemporaneo

Artisti, architetti, giardinieri il cui disegno si intreccia con l'ambiente circostante sono confluiti nel Dizionario dei nuovi paesaggisti, compilato da Pierluigi Nicolin e Francesco Repishti per Skira. Tra gli ottatacinque nomi presenti, pochissimi sono gli italiani


Se il paesaggista archetipico ce lo immaginiamo con cavalletto, tela e pennello, intento a cogliere il variare delle luci en plein air, il nuovo paesaggista è una figura definire la quale è piuttosto complicato, tanto che per ovviare alla complessità del soggetto Pierluigi Nicolin e Francesco Repishti hanno pensato di redigere un Dizionario dei nuovi paesaggisti (Skira, pp. 347, Euro 30) dove vengono inclusi in un'ampia, flessibile categoria, artisti, architetti, giardinieri che in modo assai diverso mettono il proprio lavoro in relazione con il paesaggio. Coma spiega Pierluigi Nicolin nel saggio introduttivo: «Una delle aspirazioni dell'architettura moderna è stata certamente quella di stabilire un nuovo e genuino contatto con l'ambiente naturale, e i maestri del Novecento... hanno elaborato numerose proposte per mettere in relazione l'architettura e il paesaggio.» Basti pensare alla priorità accordata da Le Corbusier al rapporto armonico del progetto con l'ambiente circostante, o all'organicismo di Frank Lloyd Wright, per cogliere l'impulso che è venuto dalla architettura al paesaggismo, anche se le figure centrali dell'elaborazione sviluppata durante il secolo scorso attorno al paesaggio possono ridursi a tre: Roberto Burle Marx, Luis Barragán e Isamu Noguchi, protagonisti di altrettante rivoluzioni i cui effetti sono ancora tangibili. La differenza sostanziale tra questi tre artisti è sintomatica di una materia sfuggente e quanto mai soggetta all'eclettismo: laddove Isamu Noguchi è stato in grado di inventare una poesia dello spazio attraverso la disposizione di pietre scolpite e acqua - secondo la tradizione giapponese - Luis Barragán ha realizzato giardini che traducevano con le sue sculture in muratura gli argomenti più basilari dell'architettura moderna, mentre Roberto Burle Marx è arrivato a modulare il paesaggio su campiture cromatiche ispirate alla pittura d'avanguardia. Queste tre tendenze possono essere senz'altro adottate come linee guida per cogliere le preoccupazioni costanti nella marea eclettica del nuovo paesaggismo, sebbene si possa sentire, forte, anche l'influenza di artisti visivi di ascendenza concettuale. Non a caso, nel Dizionario compaiono, in ordine alfabetico, Vito Acconci e Daniel Buren, i coniugi Christo e Anish Kapoor, Richard Long e Robert Smithson a testimoniare quanto la ricerca artistica abbia trasmesso libertà espressiva agli sviluppi dell'ultimo landscaping, facendogli acquisire un ruolo sempre più rilevante in ambito architettonico. Non c'è dubbio infatti, che le sperimentazioni visionarie compiute, per esempio, dagli esponenti della Land Art siano centrali in ogni successivo o coevo sviluppo legato all'organizzazione dello spazio esterno. L'eco del Lightning Field di Walter De Maria - 25000 metri quadrati segnati da centinaia di pali in acciaio inossidabile, capaci di riflettere fulmini e riflessi solari a illuminare in versione interamente ecologica il deserto del New Mexico - è evidente, come quello del Rhoden Crater vulcano trasformato in osservatorio celeste dalla meticolosa pazienza di James Turrell. Sperimentazioni slegate da qualsivoglia interesse economico e poi adattate, nelle ricerche paesaggistiche, agli interessi della committenza pubblica e privata. Martha Schwartz, per esempio, classe 1951, basandosi sugli insegnamenti di Peter Walzer è riuscita a coniugare brillantemente le aspirazioni dei Land artists con le necessità legate a una progettazione più classica, trasformando così gli spazi pubblici in luoghi di esperienza e di intrattenimento. La sua tecnica più riuscita consiste nel convertire oggetti quotidiani e familiari in elementi scultorei capaci di connotare il luogo attraverso un'operazione di iniziale détournement, come nella straordinaria Hud Plaza di Washington segnata da una serie di spirali. Sulla stessa scia si muove anche Kathryn Gustafson, che però concepisce l'organizzazione del giardino come una sorta di scrittura privata: a modellare lo spazio, infatti, sono immagini personali, oppure tratte dalla storia del luogo, quando essa sembra all'artista sufficientemente evocativa: nella Ross Terrasse di New York, per esempio, il movimento è ispirato dalla fotografia di un'eclissi lunare. Invece Ian Hamilton Finlay, poeta e giardiniere oggi quasi ottantenne, la cui importanza sta diventando sempre più evidente, ha calato gli sviluppi concettuali più ortodossi nella natura circostante: più precisamente nel parco di Stonypath, in Scozia, che ha disseminato di iscrizioni in pietra tratte dalla letteratura artistica e non.

Inviti all'osservazione e citazioni dalla poesia più diversa creano ambienti di raccoglimento all'aperto, che hanno rivoluzionato l'antica arte del giardinaggio. Nella definizione di Hamilton Finlay: «Coloro che si occupano attivamente di giardini si possono classificare in cinque categorie, e precisamente: i seminatori, i piantatori, i riparatori, i posatori, i conservatori. Se si considera il giardinaggio un'arte, allora tali categorie si possono raccogliere sotto un unico titolo, la composizione.» È un tentativo di definizione che si rende particolarmente necessario in Europa dove non è possibile registrare uno sviluppo legato ai principali movimenti artistici analogo a quello statunitense. Nel vecchio continente, infatti, sebbene sia possibile tentare una mappatura delle diverse scuole nazionali, l'apporto individuale è decisamente prevalente. In Francia il paesaggismo sembra essere particolarmente organizzato attorno alle basi teoriche fornite dal pensiero di Augustin Serque, Alain Roger e Pierre Donadieu e a una Istituzione come l'Ecole Superieure du Paysage di Versailles, sebbene poi gli esponenti principali siano animati da finalità molto eterogenee.

Gilles Clément, per esempio, ha applicato alla progettazione di giardini pubblici e privati non tanto influenze artistiche quanto nozioni scientifiche, legate soprattutto agli ultimi sviluppi della biologia. La sua teoria dei Giardini in Movimento vuole che soltanto attraverso il sapiente inserimento di colture e essenze adatte ai diversi spazi, un'area naturale incolta si trasformi lentamente in un giardino, formando dunque organismi che vivono autonomamente. Michel Corajoud, invece, che è una delle figure di spicco del paesaggismo contemporaneo, è capace di inglobare all'interno della propria idea progettuale tutti gli elementi già presenti nel luogo, compresi tralicci e autostrade, per creare nuovi spazi partendo dalle caratteristiche morfologiche preesistenti. In Belgio, a prevalere è una forte attenzione al recupero degli elementi linguistici propri della tradizione e della storia, mentre in Germania domina una forte tendenza al rigore geometrico, come il lavoro di Regina Poly dimostra, tanto nel trattamento delle superfici pavimentate quanto nella suddivisione delle aree da coltivare. Notevole il lavoro di Peter Latz, che si occupa soprattutto di edifici abbandonati e di aree industriali dimesse e poi convertite secondo il ripensamento funzionale del luogo.

Assai dolente, invece, la situazione del paesaggismo italiano, che non essendo supportato da un finanziamento pubblico adeguato dipende dal mecenatismo dei privati. Come scrive Francesco Repishti: «Ripercorrere gli interventi realizzati negli ultimi dieci anni è come disegnare una geografia fatta di `sparsi luoghi d'autore' e il contesto italiano dimostra un sostanziale scetticismo operativo o, al contrario, eccessi naturalistici e conservativi.» Nessuna sorpresa, dunque, se nonostante il fatto che questo elenco di ottantacinque «nuovi paesaggisti» sia redatto e edito in Italia vi si trovino pochi italiani: Roberto Pirzio Broli, Francesco Venezia, il trio Aprile, Collovà, La Rocca, che hanno avuto l'occasione di lavorare a Gibellina e Paolo Soleri che si è trasferito a trent'anni negli Stati Uniti, dove ancora oggi continua a elaborare la sua architettura strettamente modulata sulle condizioni ambientali dei diversi luoghi della terra.



::: Noticia generada a las 10:57 PM




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